IL BAROCCO IN CUCINA
Carlo Petrini
Quello
che colpisce, e rallegra, e seduce è l'aggressività.
Non è un corteggiamento romantico quello ingaggiato
dalla cucina siciliana. Il gioco è subito chiaro
e a tratti persino un pò violento, e si calano gli
assi subito, senza parsimonia. Altro che prudenza, altro
che gradualità, altro che riflessione. Non c'è
spazio per le allusioni, né per i traccheggiamenti:
fuoco alle polveri, e che sia subito. Antipasto? Via con
il primo assalto ai sensi: verdure (melanzane, sedano, peperoni,
cipolla) fritte nell'olio, salsa di pomodoro, aceto, zucchero,
erbe profumate, olive.
La
caponata siciliana è il barocco di base, quello che
dà l'impronta alle tante splendide città del
sud: poi ci sono i portali, i cassettoni, le statue, le
volte, ma il barocco è anche nella struttura, non
solo nella decorazione. Ecco, la caponata è il ragionamento
che guida la cucina siciliana, con quei colori da murales
australiani e quei profumi che portano al cervello un unico
pensiero: Mediterraneo. Trovo che valga per la Sicilia più
che per altre regioni il concetto che la cucina regionale
va gustata nel suo luogo d'origine: quella caponata che,
a casa sua, mette di buonumore al solo guardarla, a Milano,
senza i colori dello sfondo, senza avere intorno quell'odor
di mare, liquirizia, salvia selvatica, diventa un inutile
struggimento. L'Etna Bianco, profumato e fresco sarà
il vino per questo piatto e anche per il successivo.
Perché
se questo si può considerare un preliminare, poi
si "deve" passare al primo. E quando si dice primo
qui si dice pasta, che profuma di quel grano duro che in
Sicilia trova il suo paradiso, fatto di luce e aridità.
E può anche succedere che per amore di sorpresa il
primo non rispetti la cifra annunciata dall'antipasto. Perché
il grano duro si riscatta, nella pasta, dall'austerità
in cui nasce e cresce, e allora vuole tanta acqua e tutto
il palcoscenico: vorrebbe solo qualche comprimario, un filo
d'olio, un pò di pomodoro appena scottato e qualche
fogliolina di basilico; ma la Sicilia non è lì
a scherzare, bastano due tocchi a trasformare questo piatto
in un ricordo indelebile, tocchetti di melanzane soffritte
e una grattugiata di ricotta salata. Pasta alla Norma, si
chiama: se non è il barocco è l'opera, basta
che si continui a stupire a colpi d'emozioni.
Se
questo è stato riposo (ma può essere mai vero
riposo l'armonia?), con il secondo si torna all'energia,
e a un trucco. Le chiamano "braciole", e noi "nordici"
pensiamo subito alle bistecche di maiale. Sbagliato. Sono
piccoli involtini di carne di vitello, chiusi da uno stecchino
oppure infilati - tre o quattro per volta - su uno spiedino.
La carne di vitello viene passata, da un solo lato, nell'olio
e poi nel pangrattato, poi la si avvolge intorno ad un pezzetto
di provola fresca e a una fogliolina di menta. Quindi si
cuoce ai ferri, meglio se c'è la brace. Sembra una
cosa semplice, ma credetemi, non lo è: è una
cosa fatta con ingredienti semplici, e cotta in un modo
semplice, ma che diventa, non so dirvi perché, meravigliosamente
complessa. Diventa un sapore che strappa la nostra attenzione
da tutto quanto il resto; diventa un intreccio di profumi
che racconta un pezzo di mondo e di storia. Mi piace consigliare
un piatto di carne in un'isola che offre una sterminata
possibilità di piatti di pesce; perché spesso
l'anima vera delle cucine isolane sta nei piatti di carne.
Accostate alle "braciole" un Nero d'Avola in purezza:
le principali cantine siciliane ne stanno producendo di
ottimi, sfatando il mito della Sicilia regione da vini bianchi.
Finiscono
in gloria i pranzi, in Sicilia; una gloria fatta di frutta
e di gelato, una gloria fatta di freddo e di colore; potrete
assaggiare anche una cucchiaiata d'Africa, o forse è
Turchia, o Grecia, se trovate chi sappia fare un "gelo
di anguria" profumato di cannella. Accompagnatelo con
un Passito di Pantelleria, vanto dell'enologia nazionale,
e godete di quelle trasparenze di colori caldi su elementi
freschi, quelle del Passito e quelle del gelo. Sono i colori
ambrati del passito e della cannella, i rossi dell'anguria
attenuati dalla gelatina. L'arazzo australiano è
diventato seta d'Oriente, la confusione degli scambi continua
ad esser grande, e in mezzo al caos c'è questa Sicilia
incantata, che non ci lascia scampo: ce ne innamoreremo.
Carlo Petrini
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